50 km all’ora, titolo del nuovo film da regista di Fabio De Luigi e limite massimo di velocità consentita: perché stavolta il road movie va in scena in motorino, per la precisione un Ciao e un Garelli a cavallo dei quali, in piena nostalgia anni '80, parte il viaggio sentimentale di una coppia inedita, i due fratelli Rocco e Guido, in arte i ragazzi irresistibili De Luigi e Stefano Accorsi.
Dopo il successo di Tre di troppo con Virginia Raffaele, Amazing Fabio torna alla regia portando in dote l’ironia surreale dei suoi personaggi-icona, da Olmo e Medioman, la consueta tenerezza stemperata da un sospetto di cinismo e le famiglie scombinate dei suoi film. L’innesco con Accorsi comico fa scintille: tutto ha inizio in un paesino dell’Appennino con la morte del padre burbero, Alessandro Haber, che Rocco, dopo la scomparsa della madre, s’è accollato in solitudine, un po’ rassegnato, un po’ depresso. L’ultimo desiderio del vecchio è che le sue ceneri vengano portate dal figlio a Cervia ma in compagnia del fratello Guido, irresponsabile, guascone, “un po’ tamarro” scomparso da anni all’orizzonte. Ed è così che Accorsi – improbabile taglio lungo in nuca come si osava solo negli Ottanta – irrompe al funerale: per i due è l’occasione d’organizzare il viaggio che avevano sognato da adolescenti, e per litigare, fare i conti con la vita, ritrovarsi. Tutto deve essere come un tempo e quindi via sui motorini vintage attraversando luoghi dell’Emilia- Romagna che appartengono, nella realtà, a entrambi gli interpreti, l’origine e la calata son le stesse, le carriere diverse, ma fra De Luigi e Accorsi vola complicità e Stefano ci guadagna in scatto comico.
Il regista, che non ha mai lasciato la natia Santarcangelo di Romagna dove vive con moglie e figli, salvo le necessarie puntate a Roma, di suo ci mette i paesaggi e le balere, la passione per la musica Eighties, il ping pong e un duetto di ballo scatenato che mixa sonorità da liscio al brano di Cindy Lauper Girls just want to have fun. Scena clou già in antologia, una zingarata tra maschi, un buddy movie però con sentimento. De Luigi conferma: "Mi piaceva proprio l’idea di condividere la storia con un altro attore e altri protagonisti, narrare una linea sentimentale, poco seguita, di padri e figli, con l’idea che prima o poi dai genitori, dall’adolescenza, bisogna staccarsi, andare per la propria strada, cosa che Rocco non ha voluto fare".
Lei ha definito il film (prodotto da Colorado Film con Sony Pictures e in sala dal 4 gennaio per Eagle) "un’opera in costume ma contemporanea. Praticamente un ossimoro".
È così, i due fratelli si ritrovano in un viaggio di formazione fuori tempo massimo, in luoghi rimasti congelati negli anni, in una bolla temporale moderna ma con un sapore un po’ retrò. I motorini sono quasi dei costumi di scena, raccontano chi li guida, il mio è un po’ più sobrio, quello di Stefano è decorato, con le frange e specchietti, smarmittato. Accorsi calca la mano sul cinquantenne che ancora si sente diciottenne, ma è un normotipo, conosco tanti che sono rimasti frizzati negli anni in cui eravamo ragazzi, tra fine anni '80 e primi ‘90. Stefano ha quel cinismo lì, un po’ smargiasso, che copre le fragilità, ma pian piano abbassa le difese.
Come nasce questa coppia artistica inattesa e bombastica?
Le origini comuni han giocato un ruolo, Accorsi l’ho sempre avuto in testa, ma il road movie regionale è diventato un’idea precisa quando ha detto sì. Volevo pungolarlo sulla comicità. Gli ho detto: "Dobbiamo creare un personaggio, quasi una maschera, senza timore di andare sopra le righe”. Avevo in mente una dinamica come quella del Sorpasso, il mio film del cuore, con il posato Trintignant e Gassman, il cialtrone che trascina. I ruoli si invertono quando entriamo in un terreno per mio fratello fragilissimo, quando lo spingo a rivedere il figlio abbandonato.
Dall’Appennino a Cervia e nello zainetto Invicta le ceneri del padre…
È l’idea del figlio che porta il padre sulle spalle come se fosse un fardello: il genitore è stato la punizione di Rocco, ma rappresenta anche il senso bello e terribile della famiglia. Quasi una biografia sentimentale in sella a due motorini traballanti, e lo è diventata ancor di più perché l’inizio della lavorazione è coinciso con le alluvioni in Romagna. È stato molto difficile dal punto di vista non solo pratico ma soprattutto personale. Dovevamo girare una primavera scanzonata e intorno nella mia terra c’erano disastro e dolore.
La coreografia del vostro ballo sincronizzato alla Cindy Lauper è scatenata, e piuttosto spericolata. Quanto vi siete fatti male?
Modestamente (ride), sono appena stato operato di ernia inguinale grazie ai venti salti che io, pirla, mi sono imposto da regista. Avremmo dovuto scivolare sul tavolo e chiudere con un salto girato e montato in seguito, ma la gente intorno applaudiva e noi, che siamo artisti, ci siamo gasati e siamo andati lunghi, come fossimo quindicenni. Al ventesimo balzo in effetti s’è palesato prima un dolorino poi una tumefazione. Per fortuna siamo cinquantenni allenati.
Ci sono partecipazioni esilaranti, Paolo Cevoli, Vito, una sorta di viaggio nel tempo della comicità e nel segno di un territorio.
Ritrovarli è stato un regalo fantastico. Citerei anche Marina Massironi che rifà la mia amata Lauper con i capelli rosa frisé. Senza contare Haber, l’unico che poteva incarnare quel padre insopportabile regalandogli un sottofondo di disperata tenerezza.
Padri, figli, fratelli: la famiglia, magari un po’ scombiccherata, resta la sua magnifica ossessione, da 10 giorni senza mamma a Tre di troppo. È così?
Forse ha ragione, sono molto attratto dalle commedie che hanno a che fare con dinamiche di affettività profonda fra genitori e figli ma anche fratelli appunto. Mi piace che quei valori resistenti, qui smaltati dal fascino del road movie, si insinuino nella comicità. Non è pretestuoso, non ci penso a tavolino, credo sia sincerità vera, le cose mi colpiscono, mi lascio travolgere e non sto a tirare il freno a mano sull’aspetto sentimentale. Sto passando per un romanticone, vero?
Un po’, ma rimettiamo le cose a posto, da ragazzo era incosciente e scatenato come i due protagonisti ?
Ma no, ero uno tranquillo. Avevo il motorino come tutti, in Romagna è una sorta di religione, è quasi obbligatorio, si cresce con l’obbiettivo di andare sulle due ruote. Però erano anni belli, giocosi. Poi li han fatti a pezzi questi anni '80, e ci sono parsi inutili, futili. In realtà la musica era meravigliosa e si stava bene, oggi li rivalutano tutti, penso sia la reazione a un sentimento generale di malinconia.
È preoccupato per gli eventi del mondo?
Direi che sono soprattutto dispiaciuto e triste. La preoccupazione è più per i miei figli, mi metto nei loro panni e penso a quanto siamo stati fortunati a non avere nuvole così nere davanti, a vivere un tempo di pace e benessere che credevamo perenne. E invece no, l’umanità si muove, muta, non si cristallizza. Sì, la malinconia è diffusa, ma io cerco ostinatamente di combatterla con il sorriso e l’ironia: senza edulcorare troppo, continuo a credere nella commedia umana come antidoto.